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domenica 17 marzo 2013

Il caffelatte che unisce famiglia e lavoro




Irene Bartalini e la sfida per trovare il giusto equilibrio tra vita di famiglia e attività professionale. La soluzione? Caffelatte a colazione, un modo per coniugare il piacere di essere mamma alla passione per mettere a frutto la propria competenza professionale.
Ma chi è Irene e che cosa ha escogitato che possa essere preso ad esempio, o per lo meno come spunto, per altre mamme che sono alla ricerca di questo equilibrio, uno dei problemi più sentiti e spinosi della nostra società.
Pratese, giovanissima, mamma di due bimbi, Vittoria ed Edoardo, plurilaureata internazionale, Irene nel 2011 ha spostato la sua carriera sul web per poter dedicare più tempo alla famiglia senza perdere di vista il mondo del lavoro. Si è inventata e gestisce un portale e-commerce al quale ha associato un blog che racconta della vita di famiglia, di viaggi, di Italia; si diverte, ad esempio, a proporre racconti così come suggerisce, con simpatici tutorial come ridare nuova vita agli oggetti: partire da una camicia inservibile per costruire un cavalluccio di legno o per farne un pigiama. Idee semplici ed efficaci. Il tutto, per ampliare le proprie vedute e non perdere nessuna occasione, in due lingue: italiano e inglese.

Che sostegno e aiuto le dà la famiglia in questa sua attività che cerca di conciliare vita professionale e vita familiare?
Fondamentale.  Mi riferisco al fatto che i nonni sono sempre stati disponibili ad aiutarmi coi bambini sia nel doposcuola, riprendendoli all'asilo, sia negli interi periodi in cui non ci sono andati perché  convalescenti, se io dovevo terminare qualche lavoro o assentarmi qualche giorno.. in più hanno un "padre mammo" che sa cucinare (bene), vestirli, portarli all'asilo.. 

Da dove è nata l’idea di Caffelatteacolazione?

In primo luogo dal desiderio di realizzare per i miei bambini qualcosa di unico, fatto con le mie mani e rispondente esattamente all'idea del capo che avevo in mente, poi anche dall'esigenza di dare libero sfogo ad una creatività che ho sempre assecondato nei vari momenti della mia vita, anche prima di essere "Mamma".  

In che modo l’ha aiutata a conciliare professionalità con la maternità?
Lavorare a casa, dove ho creato un piccolo laboratorio, mi permette di gestire il tempo in modo assolutamente autonomo. Il lavoro che facevo prima mi impediva di vedere i miei bimbi la mattina al risveglio (uscivo di casa alle sette o prima), fare colazione con loro, portarli a scuola, tutte cose che dovevo delegare alle studentesse straniere che per qualche anno hanno vissuto con noi. Il pensiero che i miei bimbi sarebbero cresciuti in fretta e che mi sarei persa questi momenti della vita che non tornano più è stato determinante nel prendere la decisione di licenziarmi.

È  una professione che la soddisfa?
Assolutamente sì. L'incognita del futuro mi crea ansie e pensieri che prima, come dipendente pubblico, certo non avevo, ma il fatto di essere riuscita a conciliare lavoro e passione è una grande conquista per me.

Uno dei problemi delle donne, per nulla aiutate dalla società, è quello di trovare un equilibrio personale nella difficile conciliazione di lavoro e famiglia: che consigli darebbe per cercare una strada equilibrata?
Difficile riuscire a sentirci soddisfatte come madri, donne e lavoratrici; più facile "scoraggiarsi", abbandonando qualunque proposito ma credo che ogni donna sia una fonte inesauribile di forza, amore e passione e con un po' di tenacia possa trovare il proprio equilibrio, per cui "ascoltarsi" diventa fondamentale.

Un sito di e-commerce è una scelta coraggiosa e originale: la trova anche vincente?
Credo che l'e-commerce sia una realtà affermata in molti Paesi d'Europa e nel resto del mondo e anche in Italia si sta diffondendo in tutti i settori. Ogni giorno scopro con  piacere  che esistono molte mamme alla continua ricerca sul web di marchi e tendenze e  adorano comprare con un clic dall'ufficio per poi trovarsi il loro acquisto comodamente a casa qualche giorno dopo.

Può darci tre consigli per avere, come dice il titolo del blog, una famiglia felice?
Difficile fare consigli. Ognuno trova felicità nella propria vita per cose diverse. Ad ogni modo come genitore ho imparato, col tempo, che per stare bene in famiglia è indispensabile: 
- una grande elasticità e flessibilità (quando si è da soli si è padroni del proprio tempo e del proprio spazio, con due figli molto meno);
- un po' di ironia (inutile prendersela troppo se dopo una giornata di lavoro i bambini non ne vogliono sapere di star calmi e tranquilli o se appena finito di raccogliere tutti i micro pezzi delle costruzioni Edo arriva e li rovescia nuovamente a terra..)
- apprezzare quelle piccole grandi gioie che i bambini ci regalano ogni giorno e fermarci ad osservarle (una parola nuova, una scoperta..)
giovedì 7 marzo 2013

La famiglia felice e il lavoro delle donne




Raffaella Tarassi è mamma di un bimbo di nove mesi ed è in attesa di un secondo figlio. Ha creato un blog interessante che intende promuovere sia le produzione per bambino realizzati all’estero sia i prodotti Made in Italy artigianali. Un esperimento che merita molta attenzione e che ci facciamo spiegare direttamente da lei.

Che obiettivo si pone il tuo blog?
Come la maggior parte delle mamme, quando sono rimasta incinta di Alessandro ho cominciato a leggere e informarmi su tutto quello che riguarda il mondo dell'infanzia, in più abitando all'estero mi sono accorta che esiste un'offerta di prodotti estremamente diversa da quella italiana, per cui mi sono detta, perché non raccontare ai genitori italiani cosa succede al di la delle Alpi? Ne ilmondodeibimbi cerco quindi di proporre idee originali e divertenti, in particolar modo giocattoli, abbigliamento e arredamento, che scovo online e offline, che rendono il mondo dei nostri bimbi unico e speciale

Che servizio offre ai lettori?
Confesso che il blog è nato un po' per caso tra una poppata e un pannolino, non sono capace di stare con le mani in mano, e nonostante adori passare del tempo col mio bimbo durante la maternità avevo bisogno di pensare e fare altro. Tutto questo per dire che all'inizio non mi sono prefissata una strategia, a sei mesi dall'apertura del blog comincio ad avere le idee un po' più chiare ed è interessante che  l'obiettivo è emerso dal confronto coi lettori e alcune aziende del settore. L'idea alla base di tutto è mostrare che esiste un'offerta per l'infanzia alternativa ai marchi blasonati di cui sentiamo parlare, che l'educazione al rispetto dell'ambiente comincia quando i nostri bimbi sono piccoli: se i loro compagni di gioco sono in plastica è ovvio che in futuro saranno attaccati a questo materiale e non si cureranno di legno, cotone e simili, e da ultimo che esistono ancora tantissime piccole imprese che producono utilizzando processi artigianali e che sviluppano collezioni estremamente creative e divertenti.
Inoltre un nuovo progetto partito da pochissimo, è una serie di interviste a donne che hanno re-inventato la propria vita professionale in seguito alla maternità, sfruttando la loro esperienza di mamme per creare prodotti e/o servizi destinati ai bimbi. L'idea è quella di lanciare un messaggio positivo, di donne che non si piegano alle logiche attuali del mondo del lavoro che purtroppo non sono sempre in sintonia con la maternità, e che con un pizzico di creatività, tanto coraggio e grande tenacia riescono a conciliare la sfera privata e quella professionale.

Perché le è venuta l'idea di aprire questo blog?
Da ormai quasi 6 anni abito a Lussemburgo, un paese tanto piccolo quanto interessante, qui infatti la cultura locale è un miscuglio di quella francese, fiamminga e tedesca. Quando sono rimasta incinta ho scoperto che nonostante la globalizzazione, la cultura e le tradizioni legate alla maternità e all'infanzia sono estremamente locali, quando tornavo in Italia mi rendevo conto che alcuni prodotti che per è erano scontati a Milano non erano così diffusi e viceversa e ancora quando Alessandro aveva 6 mesi l'ho portato dal pediatra in Italia e sono rimasta stupita che ha insistito moltissimo perché gli dessi le diverse farine di riso e mais e tapioca, qui a Lussemburgo praticamente non esistono e lo svezzamento viene fatto soprattutto con frutta e verdura. Comunque... mi sono resa conto che esistono vere e proprie differenze culturali, perché, quindi, non condividerle e per scoprire i punti di forza di ognuna?

E' presente anche sui social media? Dove e perché?
Le pubbliche relazioni sono uno dei principali punti di debolezza del blog. Sono presente su Facebook e Twitter, ma confesso di non animare assolutamente le pagine che al momento sono semplicemente una vetrina dove trovare il link agli articoli che vengono pubblicati sul blog. Twitter confesso di non aver ancora del tutto capito come funziona, lo trovo estremamente efficace perché un sacco di aziende mi hanno scoperto e inviato le loro collezioni proprio tramite questo social media, allo stesso tempo però ho l'impressione che per utilizzarlo con successo occorre twittare regolarmente e con una certa costanza, cosa che non ho ancora "l'istinto" di fare. Facebook lo utilizzavo già privatamente, ho deciso di pubblicare il link ai post solo un paio di mesi dopo l'apertura del blog, quel giorno le visite hanno subito un impennata pazzesca che mi ha lasciata a bocca aperta e mi ha fatto capire la potenza di questo strumento; lo svantaggio rispetto a Twitter è che sei molto più vincolato alla tua cerchia di contatti per cui è molto più complicato farsi conoscere da altri.

Qual è la sua strategia di web marketing?
Confesso, non ne ho una! A parte i social media di cui ho appena parlato cerco di partecipare a discussioni sul blog simili al mio. Tempo fa mi sono iscritta ad alcuni siti aggregatori, ma sinceramente non ho riscontrato una grande differenza rispetto al non aderire. Al momento due pratiche hanno portato a un aumento delle visite: comunicare alle aziende di cui scrivo il link al post che le riguarda in modo da essere pubblicata sulle loro pagine Facebook o Twitter e inserire alla fine di ciascun post "potrebbe interessarti anche" ovvero il link ad articoli pubblicati in precedenza su un argomento analogo a quello del giorno. Mi piacerebbe moltissimo professionalizzarmi di più in questo ambito, confesso di pensare spesso di seguire un corso, ovviamente online!

Donne e lavoro: che cosa ne pensa?
Penso di non essere ancora la persona adatta per rispondere a questa domanda, dal momento che sono alla prima maternità e riprenderò il lavoro solo settimana prossima. Ad oggi sto cercando di individuare i momenti e le attività critiche della giornata per poterle vivere al meglio quando riprenderò, sicuramente dovrò mettere in piedi una buona organizzazione che preveda piani B, C e a volte anche D. 
Al lavoro ho chiesto il part time che ho avuto la fortuna di ottenere, prima di rimanere incinta mi arrabbiavo sempre con le colleghe o dipendenti che utilizzavano la scusa "eh ma io ho i bambini" per non venire al lavoro o fare i propri orari. Trovo molto più responsabile un discorso del tipo: la mia situazione personale è cambiata di conseguenza non sono più in grado di garantire lo stesso ammontare di ore e lavoro di prima della maternità, a voler far tutto si rischia di fare tutto male! Ritengo che le donne mamme hanno il diritto e il dovere (per se stesse, per i propri figli e per la società) di lavorare, bisogna però rendersi conto che  la disponibilità e le necessità sono diverse rispetto a quelle di un uomo su cui è costruito l'insieme di regole e pratiche che regolano il mondo del lavoro attuale. 

So che non è una citazione molto dotta, ma mi piace moltissimo il finale del film "Ma come fa a far tutto" con Sarah Jessica Parker che ritengo individui in pieno il problema:

"Motivi per cui non sarebbe un problema lasciare il mio posto di lavoro:

Primo: perché ho due vite e mi manca il tempo di godermele.
Secondo: perché cercare di essere un uomo significa sprecare una donna.
Terzo: perché i miei bambini cresceranno in un lampo e io mi sarò persa tutto.
Quarto: perché prima o poi in un modo o nell'altro, arriva il giorno in cui le cose cambiano.

So che se non avessi questo lavoro le cose sarebbero migliori, sotto tutti i punti di vista, ma senza quel lavoro non sarei più io, ma senza di te (il marito), Ben e Amy (i figli) non sono niente!"


Tre consigli per aiutare le famiglie ad essere felici?
Che responsabilità! La mia famiglia è ancora molto giovane, io e mio marito ci siamo sposati nel 2009, Alessandro è nato nel 2012 e ora aspettiamo un altro bimbo che nascerà ad agosto; non ho esperienza con ciò che riguarda scuola, adolescenti,...  posso dirvi le regole che al momento mi stanno rendendo la persona più felice del mondo:
1. mio marito viene al primo posto, certo il tempo che posso dedicargli ora si è decisamente ridotto e non sempre è di super qualità, ma non ce la farei senza di lui! Quando ero incinta dicevo sempre "Cavoli, ma come fanno le donne che affrontano la maternità da sole?", io fisicamente e psicologicamente non ce l'avrei mai fatta (e ho avuto una gravidanza bellissima!) e da quando è nato Alessandro ne sono ancora più convinta.
2. Costruire un ambiente sereno e pieno di calore che significa circondarsi di amici e famigliari su cui contare, ma con cui soprattutto farsi delle belle risate. Ridere è fondamentale, anche perché più sorriderai prima lo farà il tuo bimbo ed è la cosa più bella del mondo!
3. Ricordarsi che i nostri bimbi sono persone diverse da noi, con desideri, sogni, ritmi, interessi diversi dai nostri. E' difficile, ma credo sia importante proteggergli stando attenti a non opprimerli, un nucleo famigliare dominato dallo stress e dall'ansia per qualsiasi cosa nuoce a tutti!
martedì 19 febbraio 2013

Knowledge is not wisdom - Istruire ed educare non sono la stessa cosa



To reach the Italian version: scroll down

La versione italiana del post si trova qui sotto: scorrere in basso per trovarla grazie





It’s time for slogan, like in any campaign for the new Parliament. Everyone tries to impress the electors with smart claims. I found this one some days ago:
culture prevents illegality
(or literary “where there is culture there is no room for illegality).
Nice.
Really?
I believe is a total offense to rationality and a very manipulative position. Do we really believe that culture is the shield to protect society from misconduct? From bribery? From violence? From homicides?
Do we really believe that it’s intellect that will prevent us from acting criminally?
Not in my opinion.
It is not knowledge that will make people honest, it’s wisdom.
We have to shape and train spirit, will. And we have to do this through education. Not through instruction.
I believe this is the main pathology that affects our society nowadays. The belief that changing structures we can change people, teaching people will make them better. No way.
What do you think?

Versione italiana



È il momento degli slogan, si sa in campagna elettorale è l’uso. Si cerca di fare colpo con affermazioni che lascino in segno, che graffino. Che stupiscano.
Ne ho trovata una che mi ha colpito qualche giorno fa:
dove c’è cultura non c’è spazio per l’illegalità.
Bello eh?
Sicuri?
Per me è una boiata pazzesca, una corazzata Potemkin per dirla alla Fantozzi.
Credo sia un profonda ferità alla verità,una offesa alla razionalità: una violenta manipolazione.
Davvero pensiamo che la cultura sia lo scudo per proteggerci dall’illegalità, dalla corruzione, dalla violenza, dagli omicidi?
Crediamo veramente che sia la ragione, la facoltà intellettiva a tenerci lontano dall’agire in modo criminale?
La penso esattamente al contrario.
Non è la sapienza che rende l’uomo onesto. E’ la saggezza. E’ l’educazione. Dobbiamo educare e plasmare lo spirito, la coscienza, la volontà. Questo si fa con l’educazione, non con l’istruzione.
Temo che questa sia la peggiore patologia che colpisce oggi il mondo occidentale: ritenere che cambiare la struttura cambi l’uomo e che la cultura sia la strada principale per rendere l’uomo etico, semplicemente istruendolo.
Non è così.
E voi, che cosa pensate?
giovedì 7 febbraio 2013

La famiglia resta la cosa più importante che abbiamo: intervista a Simona Cerca co-fondatrice di SOS Mamma




I post su Facebook fanno compagnia durante la giornata: sono richieste d’aiuto, a volte commoventi altre… stimolano la perplessità, e sono lo specchio di un mondo molto particolare: quello di una maternità che sembra sentirsi abbandonata e che chiede aiuto, con ingenuità che a volte sembra sommarsi a timore. Sollecitano un aiuto, lo ottengono. 

Sono i post di SOS Mamma, una pagina Facebook che vanta oltre  15.000 fan. 


Per vedere che cosa c’è dietro questo successo e questa volontà di aiutare abbiamo intervistato Simona Cerca (foto in alto), che insieme a Sabrina Barbieri (a sinistra) e Francesca Nordsiek (a destra) ha dato vita al portale Che Forte, gestito insieme ad un attivissimo team di collaboratori e collaboratrici (che trovate qui descritti in dettaglio). Il portale è la… “mamma” della pagina su Facebook e un vero concentrato di quello che serve per la quotidianità in famiglia.




Come è nato il portale Che Forte?
È nato dalla constatazione che in rete esistevano moltissimi siti per mamme, ma tutti o quasi, riferiti ai primissimi anni di vita dei bambini. Si parlava quasi esclusivamente di pappe, pannolini, coliche, allattamento… Così, insieme a due amiche mamme giornaliste, abbiamo pensato di creare qualcosa che si occupasse anche della formazione dei nostri figli. Un sito rivolto ai genitori di bambini più grandi, fino ai 13 anni. Rivolto ai genitori (penso a tutta l’area Sos psicologia), ma nello stesso tempo anche ai figli, che possono navigare all’interno di Che Forte! insieme a mamma e papà e in Mondo Bambino trovare articoli a loro misura. Parliamo di musica, storia, scienze, ambiente, arte, per esempio.
Ma si tratta anche di un vero e proprio album per conservare per sempre i lavori dei nostri piccoli artisti (disegni, foto, invenzioni) e per osservarne l'evoluzione nei diversi momenti della vita.
Oggi Che Forte! è anche uno spazio interattivo dove trovare e dare suggerimenti, informazioni, consigli, notizie, servizi e consulenze per stimolare la formazione scientifica, artistica, sportiva, musicale e perché no?, anche sociale e ambientale dei bimbi. Numerose le interviste a personaggi di successo che hanno condiviso lo spirito di Che Forte! e che raccontano la loro esperienza di crescita e come hanno raggiunto risultati eccezionali.

Qual è lo scopo del mondo Che Forte! ?
Si tratta di un sito molto legato alla nostra contemporaneità in cui mancanza di tempo ed eccesso di stimoli rendono sempre più difficile a noi genitori osservare la crescita dei figli e orientarci nelle scelte educative.  Ci piace l’idea di condividere e fornire strumenti a genitori e figli per crescere insieme divertendosi.

Che immagine vi siete fatti della famiglia in Italia attraverso il vostro osservatorio: di che cosa ha paura? Quali sono le sue preoccupazioni?
Non esiste più una famiglia, esistono molteplici forme di famiglie. Direi che questo è il dato più rilevante. Tantissime famiglie allargate, tante mamme single, tante coppie separate o divorziate. Naturalmente anche tante famiglie “tradizionali”. Per tutti, le preoccupazioni più forti sono inevitabilmente quelle economiche. Quante mamme ci confessano di desiderare altri figli, ma di non poterseli permettere o di non avere il coraggio di metterli in cantiere per il timore di non farcela un domani.

Che cosa cerca la famiglia italiana oggi?
Aiuti concreti, sostegni nella cura dei figli e degli anziani. Tempo da dedicare a chi si ama.

Quali sono i principali errori che vedete compiere alle famiglie? E cosa fare per evitarli?
Più che di errori delle famiglie, vorrei parlare di troppi padri che ancora delegano totalmente alle madri i compiti di cura familiare. In troppe famiglie regna una rigida divisione dei ruoli che porta le madri,  oberate tra impegni di lavoro e di famiglia, all’esasperazione. Molte sono incapaci di pretendere collaborazione. Spetta ovviamente a noi mamme il compito di crescere figli maschi con una visione più moderna dei ruoli all’interno della famiglia.

In che modo la rete può essere d'aiuto alle famiglie?
La rete è uno straordinario dispensatore di informazioni, servizi, contatti. Uno straordinario luogo di condivisione di problemi e di soluzioni. Il nostro sito ne è un esempio, la nostra pagina Facebook (S.O.S. Mamma) lo è ancora di più. Abbiamo 15 mila mamme e papà che ogni giorno di confrontano sui temi più vari. Siamo orgogliose di dire che S.O.S Mamma è stata la prima pagina di auto-aiuto creata su Facebook, un’idea copiata poi da tantissime altre pagine. Ed è stato aperto un gruppo anche su Linkedin per dare consigli familiare anche in uno spazio che è prevalentemente professionale.

Spesso sulla vostra pagina Facebook  vengono postate le richieste più disparate: come interpretate questa necessità di chieder aiuto alla rete su argomenti che una volta venivano gestiti in casa, o con le amiche più esperte?
Credo sia innanzitutto una conseguenza della solitudine in cui si trovano molte mamme, magari lontane per motivi di lavoro dalla famiglia di origine e dalle amicizia di una vita. Però c’è dell’altro. C’è l’insicurezza, c’è l’ansia che genera il bisogno di avere non un paio di pareri, ma decine e decine di pareri, accolti anche se dati da persone sconosciute.

Quali sono le fragilità e i punti di forza della famiglia oggi? 
Il punto di maggiore fragilità penso sia il fatto che la vita fuori dalla famiglia si è così complicata che spesso restano poche energie da dedicare ai nostri cari. Il punto di forza è la percezione che, nonostante tutto, la famiglia resta ciò che di più importante abbiamo.

Oggi spopolano i blog delle mamme: alcuni sono divertenti, alcuni utili, molto autoreferenziali: che cosa ne pensate? 
Sono un modo come un altro di fare rete tra donne. Anche noi di Che Forte! abbiamo riservato uno spazio ai blog delle mamme. Vediamo che sono molto seguiti. La new entry è Mariapaola Ramaglia con il suo blog Una mamma educatrice, in cui dà consigli sia come mamma sia come educatrice.

In rete, in siti come il vostro, sono presenti ed agiscono quasi esclusivamente le mamme: un altro segnale dell'assenza dei padri dall'educazione e dalla famiglia?
Direi di sì… quando arrivano dei papà ci brillano gli occhi!

Potrebbe dare 3 consigli alle famiglie per essere "felici"?
Esiste una domanda di riserva? Questa è troppo difficile.

Beh allora a questa domanda ci rispondiamo da soli:
a)         continuate a leggere questo blog che appunto si chiama Famiglie Felici
b)         aiutateci e aiutatevi con commenti e considerazioni che arricchiscono tutti
c)          suggeriteci argomenti che volete vedere trattati, o persone che volete che intervistiamo



Non sono tre consigli alle famiglie per essere felici? Però sono consigli a “famiglie felici” per essere migliori….!
lunedì 4 febbraio 2013

The abolition of education - La guerra tra famiglia e scuola



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Which is the role of the school in the education plan? Does the school have a role to play? How could families and teachers find a common path for the good of the children?
This seems to be the main problem of the school system in Italy, maybe in Europe too: and the behavior of teachers with the pupils is often a good incentive to fights. Parents accuse teachers to oppress their kids, teachers blame families to prevent them from doing their job. This article is a good sample of the battle firing up il bel paese. Who is wrong?
Not my job to find out. But to suggest some reasoning about the core problem which caused the war.
What is education? Which is its goal? Could a school just teach or inevitably it also educate, or manipulate, souls?
The answers comes far behind: you can read it in the wise and sharp pamphlet written by C.S.Lewis The abolition of man Professor, writer, philopsopher, Tolkien’s friend point out very penetratingly the aim of education Aristotle says that the aim of education is to make the pupil like and dislike what he ought. When the age for reflective thought comes, the pupil who has been thus trained in 'ordinate affections' or 'just sentiments' will easily find the first principles in Ethics; but to the corrupt man they will never be visible at all and he can make no progress in that science”. And he also clarifies that any teacher does not just “instruct” his/her class but (s)he also inspire therefore shape the conscience and the principles of her/his pupils. Therefore no school can be considered neutral, and this is the main reason why parents should make a careful choice of the school for their kids.
The problem in Italy is amplified by the fact that parents seems to have lost the true meaning of education, the one stated by C.S.Lewis, and the way to do it: which is not preparing a path for their own kids, but preparing their children for the path, for any path, for the path they will chose for themselves and by themselves.
What’s happening around the world? What are your feeling about?


Versione italiana



E’ interessante riflettere sull’articolo apparso di recente sul Corriere della Sera, l’ennesimo che contrappone genitori ad insegnanti e che ha scatenato battaglie infuocate sul web tra coloro che sostengono a spada tratta i docenti, o che prendono posizione per i genitori, senza dimenticare quelli che intervengono per dire. “da me è diverso” o anzi per meglio dire “io sono diverso” nel senso ovviamente di migliore, qualche che sia il ruolo ricoperto.
Non mi interessa tanto discutere di chi abbia ragione o se ci sia qualcuno che non ce l’ha, quanto di esaminare il problema che sta alla radice di questa questione e vale a dire: che senso ha l’educazione e chi la deve orientare.
Perché questo è il punto chiave: a che cosa serve educare? Che cosa vuol dire? E che ruolo ha la scuola in tutto questo? Questa vicenda è chiave perché oggi è saltata l’alleanza scuola-famiglia e le aberrazioni descritte nell’articolo citato come in molti altri ne sono la diretta conseguenza.
Nel suo intervento, che ha avuto luogo durante l’Open Day delle scuole Faes di Milano in novembre, la neuropsichiatra dell’età infantile ed evolutiva Mariolina Migliarese, ha chiesto ai suoi ascoltatori se preferiscono una scuola che si limiti ad insegnare o una che anche educhi.
Domanda provocatoria da un certo punto di vista. Oggi si presume che la scuola abbia come solo compito quello di trasmettere del sapere. Il che è falso. Non è possibile trasmettere solo nozioni senza influenzare sempre gli alunni con una visione personale. Lo spiega benissimo C.S.Lewis, filosofo e scrittore autore del famoso ciclo di Narnia e membro degli Inklings, nel suo bel libro The abolition of man introvabile nella sua versione italiana (qui trovate la sua descrizione, qui qualche citazione e un qui un riassunto – nel link precedente, quello del titolo, trovate la versione integrale del pamphlet in versione pdf) dove con una serie di esempi spiega come l’educazione stia corrompendo l’uomo privandolo della sua capacità di conoscere il bene, il bello e il vero. Se si considera che il testo è del 1943 possiamo comprendere l’attualità del saggio, la medesima di quei libri che parlano della verità sull’uomo.
C.S.Lewis ci spiega anche nel medesimo saggio che cosa sia l’educazione e il suo scopo: “Aristotle says that the aim of education is to make the pupil like and dislike what he ought. When the age for reflective thought comes, the pupil who has been thus trained in 'ordinate affections' or 'just sentiments' will easily find the first principles in Ethics; but to the corrupt man they will never be visible at all and he can make no progress in that science” (Aristotele dice che lo scopo dell’educazione è far comprendere al fanciullo ciò che deve apprezzare e cosa rifiutare. Quanto arriverà l’età della ragione il ragazzo che è stato educato secondo una ordinata comprensione delle cose o secondo "un sentimento ordinato" facilmente scoprirà i primi principi dell'etica, ma per l'uomo corrotto questi non saranno mai visibili e non riuscirà mai a progredire in questa scienza) 
Se mettiamo insieme le due cose ci rendiamo conto di quale sia il vero problema del conflitto in atto tra genitori e professori e ne scorgiamo anche la vera radice. Vale a dire l’esaltazione dell’io, anzi dell’ego.
Ma torniamo al punto: per riscoprire non dico la sintonia, ma addirittura la sinergia, famiglia e scuola devono accordarsi sul senso dell’educazione e sui ruoli che tocca ad ognuno di loro, per raggiungere il medesimo scopo.
E devono soprattutto ricordarsi, soprattutto i genitori, che educare non significa dire sempre di sì e spianare tutte le strade. Semmai esattamente il contrario: preparare i figli per il cammino.
Ecco perché personalmente abbiamo scelto le scuole Faes.

domenica 27 gennaio 2013

The authenticity of the shopping list - L'eticità della lista della spesa



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Is there some ethics in a shopping list? Or this is just a joke, a surprising title to raise your attention but in the end leaving you with a bitter taste and nothing in your hands? Not really. This article –if you understand Italian you can read it here- written by Errico Buonanno points out the ethic relevance of writing down a shopping list and sticking to it when visiting a mart or a mall. To avoid that apparently free of consequence move that push you to take something you do not really need from the shelf and drop it in your cart just because you felt in love with the package or you have been overwhelmed by the desire to possess it.
The suggestion the author gives us is to stop and sit down and check what we really need, so to fill a detailed shopping list –by writing it down or using a smart app like Buy me a pie for instance- just of what you really need. That seems to be a good hint to re-discover the important of thinking and avoid acting impulsively: and we all know how is nowadays critical to base our decision on a rational analysis instead of on emotional or instinctive passions. 
So this simple clue is actually a strong suggestion to get back to virtues as fundaments of our life.


Versione Italiana




L’eticità della lista della spesa: sembra una sciocchezza, lo so. Una di quelle affermazioni che sono fatte per stupire ma che sono prive di succo, che lasciano senza soddisfazione. E invece no. In questo articolo di Errico Buonanno, (@ErricoBuonanno) apparso sul blog 27esimaora del CorSera, dove spesso si trovano interessanti spunti, mette in luce come la lista della spesa, che sia ancora redatta in forma cartacea o grazie a nuove spettacolari app come ad esempio Buy me a pie, che noi usiamo a casa, ha una forte valenza etica. Perché ci costringe a riflettere sul concetto di bisogno, e ci aiuta a fermarci un attimo prima di farci cogliere da quel gesto che senza apparenti conseguenze aggrava l’animo nostro con consumismo e voracità: prendere dallo scaffale un bene di cui non abbiamo necessità e deporlo nel carrello solo perché ci attira e stuzzica. Ecco che cosa scrive l’autore a quetso proposito: “La spesa ci parla di noi e, senza paura di strafare, possiamo dire che i consumi rappresentano forse un consumo più alto: quello dei giorni, il nostro rapporto con la vita e il futuro. Perché la lista è molto pratica, ma ha un unico scopo, da sempre, di qualsiasi tipo essa sia: contenere e racchiudere, ovvero combattere l’infinità dell’universo, dei desideri e delle voglie dell’uomo.
Scopo contrario a quello del supermercato, cioè, come sa bene chiunque frequenti questo tempio moderno dell’incontenibilità e della voglia”.

A voler guardare bene questo articolo quindi, si tratta di un pezzo che esalta le virtù, sobrietà e non solo, per ridare alla vita un senso che si fa profondo, che parte dal ragionamento (e quanto ce ne sia bisogno di recuperare l’importanza di non essere spontanei, immediati, ma riflessivi e consapevoli lo sappiamo tutti) e che mette tutto al vaglio di valori sui quali costruire la vita. I miei li trovate qui ad esempio.

E voi che cosa ne pensate?
mercoledì 9 gennaio 2013

Di mamme e sonno - Sleep awakeing problems


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If the baby wakes up during the night better leave them on their own than run to help them. This seems to the be astonishing conclusion of an analytic study conducted by a team of psychologists of the Temple University published by the Developmental Psychology Review. The article explains that “reported sleep awakenings were associated with difficult temperament measured at 6 months, breastfeeding, infant illness, maternal depression, and greater maternal sensitivity”.  In other words, if you do not have reasonable causes –the baby is ill- to run after your kid screaming in the night, just let him alone and wait for him/her fall asleep again. The more you are anxious the more the baby will fill the anxiety and the more she/he will awake at night.
Now, what is the problem? This fact was well known by our grandparents and from them upstream. Why have we lost the common sense about parenting? What should we do to learn it again? Do we need team of psychiatrist to tell us what our grandma could tell us?


La versione italiana 


Il Corriere pubblica con molta enfasi la notizia che un team di ricercatori della Temple University è giunto alla conclusione che un bimbo che si sveglia di notte va lasciato riaddormentare da solo. Nello studio originale si segnala che i risvegli ripetuti nel corso della notte sono dovuti sostanzialmente a due grandi cause: malattia del neonato o ansietà della madre. In altre parole: mamme state più calme e il bambino non si sveglierà di notte.
Ora ciò che colpisce di questa notizia non è il fatto in sé, che  forse potrebbe essere sconosciuto alle generazioni di giovani genitori di oggi, ma che i nostri nonni e da lì a scendere nei secoli era cosa ben nota, ma che per diffondere questo che altro non è se semplice buon senso ci si debba mettere un team di psicologi universitari dopo una accurata analisi su un campione selezionato di situazioni.
Bastava chiedere alla nonna.
Colpisce dunque il fatto che abbiamo perso la conoscenza del senso comune, delle piccole cose relative all’educazione che si respirano in ogni casa. Come possiamo riappropriarci di questa genitorialità di base? Abbiamo davvero bisogno che siano gli psicologi a insegnarci ex-catedra quello che potrebbe spiegarci la nonna?