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sabato 16 maggio 2015

Violenza o forza? La risposta della mamma di Baltimora




La mamma di Baltimora. Un eroe. Dicono. Perché ha difeso suo figlio, dalla follia. Picchiandolo.
Fermi tutti: qui qualche cosa stona. Com’è possibile?
Non abbiamo forse imparato che la violenza è sempre male?
Che non si picchia mai un figlio?.

Vorrei suggerire una riflessione, una provocazione se volete. Proprio su un tema così scottante.

Viviamo in un mondo intessuto nella violenza, non la possiamo espellere. È un miraggio. È utopia, è cedere al nemico.
Ma siamo così spaventati da essa, da avere confuso la forza con la rabbia.
Non tutto l’uso della forza è violenza: quello che fa da discrimine è il fine.
Se con energia impedisco un suicidio, dettato da un sovraccarico di emozione, non sto facendo violenza.
Se con energia impedisco ad una situazione di degenerare, non sto facendo violenza.
Se con energia induco mio figlio ad abbandonare una protesta che sta sfociando in male, non sto facendo violenza.
Ecco perché la mamma di Baltimora ci appare come una eroina.
Perché ha agito per il bene.

Il buffetto, lo schiaffo sulla mano, la presa forte quando sono finalizzate al bene, possono essere –ripeto: possono essere; non sto dicendo sono né tanto meno sono la sola strada- un mezzo che rende più diretta la strada del bene.
Quando sono solo sfogo, rabbia repressa, volontà di potere, desiderio di affermazione, livore, distruzione, allora sono sicuramente da condannare.


Forse nel tentativo, legittimo ma impossibile, di costruire un mondo senza violenza, abbiamo finito per negarci l’uso dell’energia che invece ci aiuta a preservare il nostro mondo dagli eccessi di violenza.