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sabato 5 gennaio 2013
L'alleanza educativa
Pubblichiamo
volentieri un articolo di Michael Dall’Agnello, docente alla scuola media Braida di Verona, amante della montagna,
che è apparso su Vita Nuova,
settimanale diocesano di Trieste
Mettere
assieme per costruire insieme
Pare che una delle ragioni per cui, dopo
l’unificazione del 1989 che portava con sé il poco invidiabile retaggio dell’ex
DDR, la Germania è tornata ad essere il motore economico dell’Europa, sia stata
l’inesistenza delle controversie aziendali, grazie ad un patto, più o meno
esplicito, tra lavoratori –sindacati compresi- e imprenditori: ognuno
rinunciava in sostanza all’esclusività delle proprie rivendicazioni per trovare
un accordo in funzione del bene dell’azienda e quindi di tutti.
Credo che questa sia una regola che si può
applicare anche in campo educativo.
Alla base del successo tedesco sta un
ideale condiviso –il bene dell’azienda- che per essere realizzato ha bisogno di
comunicazione, cioè di mettere assieme per costruire insieme. Parallelamente alla
base di una buona educazione sta un ideale condiviso –il bene dei figli-, che
per essere realizzato ha bisogno di comunicazione, dapprima tra i genitori, e
poi con tutti i soggetti che vengono a contatto con i figli. Mi riferisco per
esempio alla cerchia parentale (nonni e zii che comunque devono sapere cosa
vogliamo per i nostri figli), ai nostri amici, ma anche e
soprattutto alla scuola.
Purtroppo oggi, anche in campo educativo,
si confonde la comunicazione con lo scambio d’informazioni. E così, all’interno
della famiglia, specie con l’arrivo dei figli, si passa da frasi del tenore di
“Tu come stai?” ad altre come “Hai fatto questo?”, “Chi porta Giacomino
scuola?” ecc., e si entra in una sorta di autismo relazionale, che prima o poi
finisce per implodere o esplodere.
Comunicare invece vuol dire condividere
le proprie aspirazioni e le proprie idee, le passioni e le fatiche, i sogni e
le delusioni, i successi e le paure, in una parola instaurare una relazione
vitale, significativa: partire cioè dal concetto che “Tu per me vali molto, e
questo lo capisci prima di tutto da come ti guardo negli occhi!” Altrimenti
basterebbe un computer per educare i nostri figli.
Per entrare in relazione bisogna imparare
ad ascoltare.
Credo che ogni relazione,
innanzitutto tra moglie e marito, ma anche quella con le altre “agenzie
educative” tra cui la scuola, debba diventare, nonostante le inevitabili “stonature
di percorso”, via via sempre più una sinfonia. Ognuno suona uno strumento
diverso, note differenti, ma la musica deve essere una sola. Per educare i figli,
tra marito e moglie, non importa granché chi sia a dirigere, l'importante è
seguire il ritmo. A darlo sarà a volte la moglie, altre, il marito, e altre
ancora –pur nella sua specificità- l’insegnate che condivide l’educazione del
figlio. Il problema nasce quando ognuno va per conto suo e si finisce per
trasformare la musica in rumore: quanti ragazzi sono frastornati dal “rumore
educativo”! C’è bisogno di tornare ad imparare ad ascoltare -più col cuore che
con le orecchie- e seguire il ritmo.
Ascoltare, ma anche avere
un minimo di spartito, cioè un progetto educativo condiviso, che, pur con gli
adattamenti e le variazioni del caso, venga ad essere il leitmotiv, il tema
dominante. Il progetto educativo non è altro che il piano di lavoro che i
coniugi devono avere per ogni figlio e così aiutarlo a diventare uomo, persona
adulta, cioè onesta, leale, fedele, rispettosa degli altri, generosa e, in
ultima analisi, felice.
Una volta tutte queste cose
erano scontate; ad educare non erano solo i genitori, o la scuola, ma la
società, perché questi valori erano condivisi, si viveva in una sorta di
“villaggio educativo”, in cui ognuno svolgeva la sua parte. Oggi non è più
così, viviamo in un modello di “società liquida”, in cui i rapporti non hanno
più una base condivisa e rimangono spesso frammentari. Subentra perciò l’esigenza
di una maggiore intenzionalità nell’educazione, perché niente è scontato. C’è inoltre
bisogno di un’alleanza educativa tra i vari soggetti, e con la scuola in
primis, la quale può fare ancora molto, perché anche oggi ha una funzione
riconosciuta.
Nel mio lavoro d’insegnante
capita di avere sì a che fare con i genitori, ma spesso si tratta di lamentele
o proposte irrealizzabili, che portano purtroppo a un muro contro muro: da una
parte la scuola e dall’altra i genitori. Si passa da frasi come “Il tal maestro
ce l’ha con mio figlio” a “Il cibo della mensa non va bene” per finire con
“Quel voto che ha dato a mio figlio non è corretto”… e ciò quando ancora si
riesce a mantenere un contegno civile. Questo modo di rapportarsi non è né un’alleanza,
né educativo, perché ognuno rimane dalla sua: non c’è vero ascolto, né
tantomeno condivisione, e chi ci va di mezzo sono i ragazzi.
Come per il caso della
Germania, dovremmo imparare a mettere da parte l’esclusività delle nostre
rivendicazioni, per instaurare un’alleanza in cui, in un certo modo, si cerchi
di tirare il carro nella stessa direzione. Ciò è possibile se abbiamo un
progetto che vada oltre il transitorio, un’idea condivisa dell’uomo che
vogliamo possa diventare nostro figlio, se impariamo a chiederci “Chi voglio
diventi mio figlio?” più che “cosa”, e impariamo a comunicare con gli
insegnanti con una visuale a 360 gradi. Credetemi, parlo da insegnante, spesso si
può fare, soprattutto in quelle scuole in cui è chiaro l’intento di collaborare
con i genitori, ci vuole solo un po’ di coraggio per lanciarsi, ma ne vale la
pena!
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