Tutti i nostri link
La mia pagina web,
I blog professionali
la vendita referenziata/referral selling,
vendere all’estero low cost & low risk
I blog non professionali
Famiglie felici/italian and english educazione e pedagogia
Per sommi capi: racconto
Il foietton: la business novel a puntate,
Sono ospite del bellissimo blog di Costanza Miriano che parla di famiglia e di…più
Delle gioie e delle pene: della vita di un cinquantenne
Happy Child Zona Gioia: il blog per i piccolissimi (0-3 anni)
Social network
Tra i nostri preferiti
-
-
-
-
Le console nelle famiglie italiane13 anni fa
-
-
Post più popolari
-
Sabato Italiano: i padri separati Next english post: Monday Feb 13th Volentieri lasciamo spazio ad Andrea che ci introduce i...
-
Scroll down for English version thank you Next post saturday Jan 28th Prossimo post sabato 28 gennaio Giovedi Mooreeffoc ...
-
Prossimo post Next post Tuesday/martedì 7 dicembre Scroll down for English version Claudia De Lillo è un fenomeno me...
-
Reblog: i post migliori retweetati per voi Reblog: the best post retweeted for you Scroll down for English version...
-
Post speciale solo in lingua italiana Ho conosciuto Daniela grazie a Internet, e non ricordo neppure come. Uno di quei doni della...
Feedjit
Visualizzazioni totali
Lettori fissi
share this
Powered by Blogger.
domenica 27 gennaio 2013
The authenticity of the shopping list - L'eticità della lista della spesa
To reach the Italian version: scroll down -
La versione italiana del post si trova qui sotto: scorrere in basso per trovarla grazie
Is there some ethics in a shopping list? Or this is just a joke, a surprising title to raise your attention but in the end leaving you with a bitter taste and nothing in your hands? Not really. This article –if you understand Italian you can read it here- written by Errico Buonanno points out the ethic relevance of writing down a shopping list and sticking to it when visiting a mart or a mall. To avoid that apparently free of consequence move that push you to take something you do not really need from the shelf and drop it in your cart just because you felt in love with the package or you have been overwhelmed by the desire to possess it.
The
suggestion the author gives us is to stop and sit down and check what we really
need, so to fill a detailed shopping list –by writing it down or using a smart
app like Buy me a pie for instance- just of what you really need. That seems to
be a good hint to re-discover the important of thinking and avoid acting
impulsively: and we all know how is nowadays critical to base our decision on a
rational analysis instead of on emotional or instinctive passions.
So this
simple clue is actually a strong suggestion to get back to virtues as
fundaments of our life.
Versione Italiana
L’eticità
della lista della spesa: sembra una sciocchezza, lo so. Una di quelle
affermazioni che sono fatte per stupire ma che sono prive di succo, che
lasciano senza soddisfazione. E invece no. In questo articolo di Errico Buonanno,
(@ErricoBuonanno)
apparso sul blog 27esimaora del CorSera, dove spesso si
trovano interessanti spunti, mette in luce come la lista della spesa, che sia
ancora redatta in forma cartacea o grazie a nuove spettacolari app come ad
esempio Buy me a pie, che noi usiamo a
casa, ha una forte valenza etica. Perché ci costringe a riflettere sul concetto
di bisogno, e ci aiuta a fermarci un attimo prima di farci cogliere da quel
gesto che senza apparenti conseguenze aggrava l’animo nostro con consumismo e
voracità: prendere dallo scaffale un bene di cui non abbiamo necessità e
deporlo nel carrello solo perché ci attira e stuzzica. Ecco che cosa scrive
l’autore a quetso proposito: “La spesa ci parla di noi e, senza paura di strafare, possiamo dire che i consumi
rappresentano forse un consumo più alto: quello dei giorni, il nostro rapporto
con la vita e il futuro. Perché la lista è molto pratica, ma ha un unico scopo,
da sempre, di qualsiasi tipo essa sia: contenere e racchiudere, ovvero
combattere l’infinità dell’universo, dei desideri e delle voglie dell’uomo.
Scopo contrario a quello del supermercato, cioè, come
sa bene chiunque frequenti questo tempio moderno dell’incontenibilità e
della voglia”.
A voler guardare bene questo articolo quindi, si tratta di
un pezzo che esalta le virtù, sobrietà e non solo, per ridare alla vita un
senso che si fa profondo, che parte dal ragionamento (e quanto ce ne sia
bisogno di recuperare l’importanza di non essere spontanei, immediati, ma
riflessivi e consapevoli lo sappiamo tutti) e che mette tutto al vaglio di
valori sui quali costruire la vita. I miei li trovate qui ad esempio.
mercoledì 9 gennaio 2013
Di mamme e sonno - Sleep awakeing problems
To reach the Italian version: scroll down -
La versione italiana del post si trova qui sotto: scorrere in basso per trovarla grazie
If the baby wakes up during the
night better leave them on their own than run to help them. This seems to the
be astonishing conclusion of an analytic
study conducted by a team of psychologists of the Temple University
published by the Developmental Psychology Review. The article explains that “reported sleep awakenings were
associated with difficult temperament measured at 6 months, breastfeeding, infant illness,
maternal depression, and greater maternal sensitivity”. In other
words, if you do not have reasonable causes –the baby is ill- to run after your
kid screaming in the night, just let him alone and wait for him/her fall asleep
again. The more you are anxious the more the baby will fill the anxiety and the
more she/he will awake at night.
Now, what is the problem? This fact was well known by our grandparents and
from them upstream. Why have we lost the common sense about parenting? What
should we do to learn it again? Do we need team of psychiatrist to tell us what
our grandma could tell us?
La versione italiana
Il Corriere pubblica con molta enfasi la
notizia che un team di ricercatori della Temple University è giunto alla
conclusione che un bimbo che si sveglia di notte va lasciato riaddormentare da
solo. Nello
studio originale si segnala che i risvegli ripetuti nel corso della notte
sono dovuti sostanzialmente a due grandi cause: malattia del neonato o ansietà
della madre. In altre parole: mamme state più calme e il bambino non si
sveglierà di notte.
Ora ciò che colpisce di questa notizia non è il fatto in sé,
che forse potrebbe essere
sconosciuto alle generazioni di giovani genitori di oggi, ma che i nostri nonni
e da lì a scendere nei secoli era cosa ben nota, ma che per diffondere questo che
altro non è se semplice buon senso ci si debba mettere un team di psicologi
universitari dopo una accurata analisi su un campione selezionato di
situazioni.
Bastava chiedere alla nonna.
Colpisce dunque il fatto che abbiamo perso la conoscenza del
senso comune, delle piccole cose relative all’educazione che si respirano in
ogni casa. Come possiamo riappropriarci di questa genitorialità di base?
Abbiamo davvero bisogno che siano gli psicologi a insegnarci ex-catedra quello
che potrebbe spiegarci la nonna?
lunedì 7 gennaio 2013
Educazione e regole: cosa viene prima? - Rules and samples: what is more important?
To reach the Italian version: scroll down -
La versione italiana del post si trova qui sotto: scorrere in basso per trovarla grazie
Janell
Burley Hofman posted on her blog
the code that she shared with her 13th years old kid;. Well
actually it would be better to
define it this way: the instructions that she imposed to her kid. Here what
happened; she gave Gregory a new iPhone for Xmas but with a strict contract about how to use it.
It sounded interested
to me and wise and a good way to teach a child how to really use such a
device.
So a
retweeted the article and was surprised to get an answer which disputed the
whole stuff claiming that imposing such a code to a kid was just a sign of a
poor education. The gentleman, @arturo_caissut, pointed out that it is unworthy to ask a child
to abstain from downloading porn
stuff . The gentleman said that you cannot order a guy such a thing, you have
to teach him to stay away from porn products.
In fact
also that sounds wise to me: so what is the right position?
Now I would
say that both are right: if it’s true that you have to educate your kids, with
words statements and personal example, it is also true that human nature is
fragile and the teen’s one even more. So you could, and should, sustain your
kids’ will, walk side by side in helping them to obey and stay consistent with
the value you teach them. Which means that the code Ianell proposed is a
powerful tool.
What do you
think about? What do you suggest?
La versione italiana
Le regole per l’uso del regalo che ti faccio: può essere una
buona idea quella di Ianel Burley Hofman, giornalista dell’Huffington Post che,
nel regalare un iPhon al figlio tredicenne per Natale ne condiziona l’uso con
un lungo elenco di regole che posta anche
nel suo blog. (A margine: sarebbe interessate capire che tipo di dinamiche
familiari scatena questa voglia di rendere tutto pubblico quello che accade in
famiglia, stendendo i panni bene in vista, come fanno anche alcune blogger
molto famose parlando della vita dei loro piccoli bambini che prima o poi
cresceranno e leggeranno che cosa dicevano di loro e delle loro famiglie queste
mamme autrici. Perché se verba volant et scripta manent, web post manent in
saecola saeculorum…).
Sembra comunque una idea intelligente perché nel porre
condizioni di fatto trasmette il senso dell’oggetto, del suo uso e implica
alcuni valori che, se non sono comunque bene evidenziati, sono peraltro
presenti “embeded” nelle 18 regole affisse sulla porta del blog (e si immagina
della camera del figlioletto).
Così, siccome la
notizia l’ha proposta il Corriere, mi sembra bene ritwettare il pezzo per
stimolare una riflessione.
Che arriva puntale a firma @arturo_caissut che dissente
dall’operazione in modo particolare con riferimento a quella voce dell octadecalogo
che minaccia sequestri se il mezzo viene utilizzato per scaricare alcunché di
pornografico. Sostiene Arturo che se c’è bisogno di dirlo vuol dire che non
l’ho insegnato bene. Vuol dire che non ho dotato il figlio di sani anticorpi.
Vero. Makes sense. Mica stupido il commento. Tutt’altro.
Quindi sorge un dubbio. Ha ragione la mamma blogger o il
simpatico twittero?
Adesso non vorrei sembrare veltronesco ma mi sfugge un bel
“ma anche” che sta per “hanno ragione tutti e due”.
Perché se è vero che è l’educazione che abbiamo saputo
trasmettere ai figli quella che conta, specie se alle parole e ai dictat si è
affiancato l’esempio positivo e concreto, che spiega che cosa è l’amore nella
fattispecie, è anche vero che la natura dell’uomo è fragile e quella degli
adolescenti ancor di più, specie sul sesso. Per cui accompagnare
nell’obbedienza, assistere nell’educazione e nel rispetto dei valori… ci sta. Se
come affermava Giuliana Ukmar dire di no vuol dire voler bene, forse anche
mettere delle regole significa la medesima cosa.
Voi che cosa ne pensate?
sabato 5 gennaio 2013
L'alleanza educativa
Pubblichiamo
volentieri un articolo di Michael Dall’Agnello, docente alla scuola media Braida di Verona, amante della montagna,
che è apparso su Vita Nuova,
settimanale diocesano di Trieste
Mettere
assieme per costruire insieme
Pare che una delle ragioni per cui, dopo
l’unificazione del 1989 che portava con sé il poco invidiabile retaggio dell’ex
DDR, la Germania è tornata ad essere il motore economico dell’Europa, sia stata
l’inesistenza delle controversie aziendali, grazie ad un patto, più o meno
esplicito, tra lavoratori –sindacati compresi- e imprenditori: ognuno
rinunciava in sostanza all’esclusività delle proprie rivendicazioni per trovare
un accordo in funzione del bene dell’azienda e quindi di tutti.
Credo che questa sia una regola che si può
applicare anche in campo educativo.
Alla base del successo tedesco sta un
ideale condiviso –il bene dell’azienda- che per essere realizzato ha bisogno di
comunicazione, cioè di mettere assieme per costruire insieme. Parallelamente alla
base di una buona educazione sta un ideale condiviso –il bene dei figli-, che
per essere realizzato ha bisogno di comunicazione, dapprima tra i genitori, e
poi con tutti i soggetti che vengono a contatto con i figli. Mi riferisco per
esempio alla cerchia parentale (nonni e zii che comunque devono sapere cosa
vogliamo per i nostri figli), ai nostri amici, ma anche e
soprattutto alla scuola.
Purtroppo oggi, anche in campo educativo,
si confonde la comunicazione con lo scambio d’informazioni. E così, all’interno
della famiglia, specie con l’arrivo dei figli, si passa da frasi del tenore di
“Tu come stai?” ad altre come “Hai fatto questo?”, “Chi porta Giacomino
scuola?” ecc., e si entra in una sorta di autismo relazionale, che prima o poi
finisce per implodere o esplodere.
Comunicare invece vuol dire condividere
le proprie aspirazioni e le proprie idee, le passioni e le fatiche, i sogni e
le delusioni, i successi e le paure, in una parola instaurare una relazione
vitale, significativa: partire cioè dal concetto che “Tu per me vali molto, e
questo lo capisci prima di tutto da come ti guardo negli occhi!” Altrimenti
basterebbe un computer per educare i nostri figli.
Per entrare in relazione bisogna imparare
ad ascoltare.
Credo che ogni relazione,
innanzitutto tra moglie e marito, ma anche quella con le altre “agenzie
educative” tra cui la scuola, debba diventare, nonostante le inevitabili “stonature
di percorso”, via via sempre più una sinfonia. Ognuno suona uno strumento
diverso, note differenti, ma la musica deve essere una sola. Per educare i figli,
tra marito e moglie, non importa granché chi sia a dirigere, l'importante è
seguire il ritmo. A darlo sarà a volte la moglie, altre, il marito, e altre
ancora –pur nella sua specificità- l’insegnate che condivide l’educazione del
figlio. Il problema nasce quando ognuno va per conto suo e si finisce per
trasformare la musica in rumore: quanti ragazzi sono frastornati dal “rumore
educativo”! C’è bisogno di tornare ad imparare ad ascoltare -più col cuore che
con le orecchie- e seguire il ritmo.
Ascoltare, ma anche avere
un minimo di spartito, cioè un progetto educativo condiviso, che, pur con gli
adattamenti e le variazioni del caso, venga ad essere il leitmotiv, il tema
dominante. Il progetto educativo non è altro che il piano di lavoro che i
coniugi devono avere per ogni figlio e così aiutarlo a diventare uomo, persona
adulta, cioè onesta, leale, fedele, rispettosa degli altri, generosa e, in
ultima analisi, felice.
Una volta tutte queste cose
erano scontate; ad educare non erano solo i genitori, o la scuola, ma la
società, perché questi valori erano condivisi, si viveva in una sorta di
“villaggio educativo”, in cui ognuno svolgeva la sua parte. Oggi non è più
così, viviamo in un modello di “società liquida”, in cui i rapporti non hanno
più una base condivisa e rimangono spesso frammentari. Subentra perciò l’esigenza
di una maggiore intenzionalità nell’educazione, perché niente è scontato. C’è inoltre
bisogno di un’alleanza educativa tra i vari soggetti, e con la scuola in
primis, la quale può fare ancora molto, perché anche oggi ha una funzione
riconosciuta.
Nel mio lavoro d’insegnante
capita di avere sì a che fare con i genitori, ma spesso si tratta di lamentele
o proposte irrealizzabili, che portano purtroppo a un muro contro muro: da una
parte la scuola e dall’altra i genitori. Si passa da frasi come “Il tal maestro
ce l’ha con mio figlio” a “Il cibo della mensa non va bene” per finire con
“Quel voto che ha dato a mio figlio non è corretto”… e ciò quando ancora si
riesce a mantenere un contegno civile. Questo modo di rapportarsi non è né un’alleanza,
né educativo, perché ognuno rimane dalla sua: non c’è vero ascolto, né
tantomeno condivisione, e chi ci va di mezzo sono i ragazzi.
Come per il caso della
Germania, dovremmo imparare a mettere da parte l’esclusività delle nostre
rivendicazioni, per instaurare un’alleanza in cui, in un certo modo, si cerchi
di tirare il carro nella stessa direzione. Ciò è possibile se abbiamo un
progetto che vada oltre il transitorio, un’idea condivisa dell’uomo che
vogliamo possa diventare nostro figlio, se impariamo a chiederci “Chi voglio
diventi mio figlio?” più che “cosa”, e impariamo a comunicare con gli
insegnanti con una visuale a 360 gradi. Credetemi, parlo da insegnante, spesso si
può fare, soprattutto in quelle scuole in cui è chiaro l’intento di collaborare
con i genitori, ci vuole solo un po’ di coraggio per lanciarsi, ma ne vale la
pena!
mercoledì 2 gennaio 2013
Quanno ce vò ce vò - Let's be streight once in a while
To reach the Italian version: scroll down -
La versione italiana del post si trova qui sotto: scorrere in basso per trovarla grazie
It happens: if you surf often the web you may find out dome weird situation, which by the way offers you a cruel and precise image of the present situation, of what is supposed to be common sense, which may unfortunately be quite common, but I doubt it is sense at all.
La versione italiana del post si trova qui sotto: scorrere in basso per trovarla grazie
It happens: if you surf often the web you may find out dome weird situation, which by the way offers you a cruel and precise image of the present situation, of what is supposed to be common sense, which may unfortunately be quite common, but I doubt it is sense at all.
Let’s talk
of that mom I crossed one morning: she was firmly defend fathers and she claims
her position loudly. Moms, let’s protect fathers because they feel excluded
from that magic circle that link the baby to her/his mom and that sometime can
be so exclusive to be a little pathologic.
Good point
madam! You are so right! Fatherhood is a very important factor, like motherhood
of course, in the growth of a child: she/he needs both parents, a woman and a
man, to understand what life is
and to build her/his own personality. We discussed that several time.
But, wait a
minute, let’s read what she wrote till the last line… and we discover that what
she is actually saying is that “ok moms, be patient with your man, we all know
he is not able to do what a mom do, but never mind, lets him play, let him act
like a mom, and if he will never be as good as we are, be patient!”
So what? Re
we talking of fatherhood? Not at all: but what a father can do is to aspire to be
a sort of vice-mom, ready to get of the bench to give some rest to the starter,
and nothing more.
So I could not
resist and asked some questions to the lady about the role of the father, and
got some puzzling answers: there is no difference between mother and father, no
different role, no difference between maleness and femaleness, what’s matter is
that both will submerge the kid with optimism and serenity. That’s it.
Well,, what
I understood is that we have a huge job to do to restore the truth and to
preserve children from a confuse sense of education.
What do you
think about?
La versione italiana
Capita che ti imbatti in curiose situazioni frequentando il
web, che ti danno uno specchio tragico e preciso di un sentire che se non è
comune poco ci manca e che comunque strepita molto e finisce per plagiare i
pensieri e le coscienze.
Prendi una mattina quando incroci una mamma che vuole
difendere i papà e lo dice chiaro e tondo che sta dalla loro parte, dato che
già si sentono estromessi da mamme che vivono in maniera soffocante il loro
rapporto con i neonato prima e il bimbo poi. E lo fanno perché li reputano
incapaci.
Bene, pensi, ecco che finalmente si ragiona sull’importanza
della presenza della figura paterna, distinta e diversa da quella della madre.
Poi ecco, in cauda venenum: lasciamogli fare i mammi qualche
volta, anche se non saranno mai bravi come noi.
Quindi? Il padre non serve, specie come tale, ma siccome c’è
e non possiamo tagliarlo fuori facciamogli fare la vice-mamma, e portiamo
pazienza se non se la cava bene.
Chiedo spiegazioni e mi viene risposto che i ruoli non
esistono, che mascolinità e femminilità sono inesistenti e che al bambino poco
importa delle differenze tra papà e mamma, che basta che entrambi trasmettano
al figlio ottimismo e serenità.
Ecco, situazioni come queste ti fanno capire che c’è molto
da fare.
E voi che cosa ne pensate?
Iscriviti a:
Post (Atom)