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venerdì 8 giugno 2012

Il vero spread è tra stato e famiglia



di Alessandro D’Avenia

Ci sono alcune parole che non appena le nomini ci si schiera, come se fossero la difesa di una certa posizione politica e ideologica. Una di queste parole è famiglia. Se la pronunci, subito sembra che tu debba schierarti tra i favorevoli e i contrari alla famiglia tradizionale. L’argomento famiglia non è un argomento di parte ma è un fatto, un fatto sociale e come tale va trattato. Ed è così sin dai tempi di Aristotele, che vi identificava il nucleo costitutivo della polis.
Il fatto che la famiglia sia la cellula fondamentale di ogni società è evidente. Lo dice chiaro la nostra Costituzione all’art. 29: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Questo lo sanno i sostenitori di nuclei familiari alternativi alla famiglia fondata sul matrimonio, tanto che ne chiedono un riconoscimento parificato, per goderne gli stessi benefici (che poi non ho ancora capito quali siano oggi in Italia). Un dato che ci accomuna tutti è che veniamo da una famiglia, più o meno fortunata, come tutte le famiglie. Senza la mia famiglia io non avrei imparato a rispettare gli altri (cominciando dai miei fratelli e sorelle), non avrei imparato le regole e l’amore per le regole, non avrei scoperto chi sono, limiti e pregi, con la forza che questo conferisce alla mia vita quotidiana.
Non avrei avuto almeno un luogo in cui tornare e nel quale non mi si giudicava o accettava per quello che apparivo, facevo o avevo, ma per quello che ero. Tutto ciò è una risorsa, non dico in sé, ma quanto meno potenziale ed è una risorsa per la società, indipendentemente dalle proprie convinzioni. Sostenere la famiglia è a beneficio di tutta la società, in quanto luogo primario e privilegiato di incontro tra le generazioni. Dove si impara a rispettare e curare gli anziani se non in famiglia? Dove si impara a spendersi per i giovani se non in famiglia? Almeno potenzialmente può essere così e spesso è stato ed è così. Non bastano le famiglie dell’orrore per buttare la famiglia tout court, anche perché ce ne sono altrettante non dell’orrore. Il quadro attuale ci parla però di una famiglia in crisi. Ma non mi sembra che la società stia meglio.
La crisi che stiamo vivendo è soltanto una crisi economica o è la crisi di una politica economica senza un bene comune maturato nelle singole famiglie e allargato poi a tutta la società? Dove si forma un buon cittadino (la scuola da sola non basta) se non in famiglia? Se non comincio dai genitori e dai fratelli perché dovrei rispettare condomini e compagni di classe? Se la famiglia sta bene, la società sta bene. Difficile negarlo. Prendersi cura della famiglia forse è la vera azione di risanamento economico e sociale che serve adesso. Lo dimostrano i dati della recentissima ricerca internazionale sulla «Famiglia risorsa della società», appena pubblicata da il Mulino, che in più di 350 pagine lo rileva con dovizia di dati e ricerche.
In moltissimi Paesi emergono tendenze simili: le relazioni famigliari si indeboliscono, nascono molti più bambini fuori dal matrimonio, i giovani hanno molta più difficoltà a sposarsi, anche quelli che vorrebbero. Ma di fronte a questa novità, comparando i vantaggi dei diversi modi di far famiglia non risulta emergere un nucleo famigliare più produttivo o vantaggioso rispetto a quello sancito dalla nostra Costituzione. Viene allora da chiedersi se la famiglia sia un’istituzione del futuro, più che del passato, ancora da fare più che fatta e già ammuffita. A questo proposito l’art. 31 della Costituzione recita che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»: la Costituzione lo afferma perché i suoi estensori erano consapevoli che la famiglia descritta era ed è quella che produce più capacità sociali, più capitale umano, migliori possibilità di successo nella vita grazie ad un equilibrio personale statisticamente più rilevante rispetto ad altre realtà. Però questo tipo di famiglia si sta restringendo, e così diminuisce la coesione sociale. Nelle città i quartieri diventano più insicuri, perché le famiglie non sono aperte le une alle altre, a differenza di quanto succede nei paesi o in provincia. Sono in aumento tra i giovani: sfiducia, incapacità di affrontare i fallimenti, personalità più vulnerabili o narcisistiche, e per questo poco propense all’impegno e al bene comune. E posso testimoniare in classe, da 12 anni, il progressivo cambiamento.
La famiglia è la realtà che sembra poter relazionare le persone in maniera umana. Il matrimonio non è solo un patto, crea un valore aggiunto nella relazione sociale. Non è un’addizione 1+1, ma un moltiplicatore. Lo sa chiunque venga da una famiglia unita, seppur con tutte le sue imperfezioni. Basti pensare al valore sociale dei nonni e allo scambio tra generazioni, alla ricchezza potenziale di relazioni e apertura verso l’esterno in famiglie con due o più figli, alla capacità di connessione tra il privato e il pubblico. In questo momento però, a causa di una politica da troppo tempo poco attenta alla maggioranza del nostro tessuto sociale, la famiglia è più vittima che artefice, più bersaglio che risorsa. La famiglia è fonte di capitale sociale primario, ma se la famiglia è debole la responsabilità è dello Stato. I governi parlano spesso della famiglia come un rischio o un peso.
E non si tratta di fare la carità alle famiglie, ma di istituire un sistema equo, come accade per esempio nella laicissima Francia, dove avere due o tre figli significa quasi non pagare tasse. L’amore non è solo un bel sentimento, ma una relazione e la famiglia è luogo di relazioni capaci di sprigionare valore aggiunto. Anche se risolveremo lo spread non cureremo la ferita che indebolisce il nostro tessuto sociale. Non basta la ricchezza materiale a fare una società. Occorre ripensare le politiche famigliari, spesso attente soltanto alle situazioni più deboli. Questa però non è politica, ma carità. Non è giustizia sociale, ma elemosina. Solo da una famiglia forte può nascere una società civile forte. E non è questione di ideologie. Il nostro Paese è fatto soprattutto da famiglie così come la Costituzione le disegna, di certo nessuno Stato ci potrà mai costringere a costituire una famiglia così se non lo vogliamo, ma lo Stato va contro sé stesso e la sua Costituzione se non aiuta chi vuole farlo o lo ha già fatto.

[Fonte: La Stampa]

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