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venerdì 30 marzo 2012

sabato italiano: i compiti della discordia

Sabato italiano: post in sola lingua italiana


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Nella querelle tra genitori e insegnanti sui compiti, provocata dalla notizia della ribellione di mamme e papà francesi contro gli homework, riportata da questo articolo del CorSera, io sto con i bambini. E con quello che devono ricevere dagli adulti.
Perché è lì che dobbiamo tornare a mio parere, uscendo dalla rissa che non trova la quadra tra la necessità di studiare e quello di non affaticarsi troppo.
Ricordarci ad esempio che i piccoli, i figli, hanno il diritto di essere educati, cosa che significa aiutarli a conquistare l’autonomia attraverso il riconoscimento di che cosa è bene e che cosa è male e la scoperta di regole. Che non sono una gabbia cattiva, ma ciò che fa divertire, che fa funzionare il gioco.
I compiti a casa hanno questo scopo? Non lo so, a priori. Dovrebbero. Ovviamente dipende da come e quanto. Non avendo più figli in età scolare, la “piccola” superati i 19 anni naviga allegra nel mondo universitario, non so affermare che la quantità e la qualità sia quella giusta.
Quello che vedo è una certa tendenza a esasperare la comodità: tutto va fatto per la serena tranquillità dei figli. Sbagliato. Preciso: non si tratta di infliggere torture sadiche e crudeli. Si tratta di esporre alla vita. Di spiegare il valore dello spirito di sacrificio. Far comprendere che la vita è bella sì, ma anche dura. E che per quanto si desidererebbe mostra spesso il suo lato ruvido, che va affrontato con sicurezza e preparazione.
Nell’articolo citato spiega bene Antonio Piotti: «Un luogo non di compiti e doveri, ma di gratificazioni e piacere. Che deve motivare, tirar fuori il talento e non deprimere con i compiti». E aggiunge: «In famiglia (slim o allargate, con poco tempo e tanti sensi di colpa) questo passaggio è già avvenuto: si è abdicato al ruolo autoritario (il padre, quando c’è, è amico, la mamma oltre a fare il papà fa anche i compiti) e adesso si vorrebbe dalla scuola lo stesso». Con un rischio: «Crescere ragazzi fragili (bulli o reclusi in casa) e incapaci di vivere».
In molti commenti che trovo su Facebook mi pare di cogliere questa medesima tensione: giù le mani dal mio bambino. La guerra tra insegnanti e genitori la pagano fin da ora proprio i figli predestinati così ad una carriera che da bamboccioni li trasformerà in bulli adagiati nella bambagia. È questo che vogliamo?
Sul medesimo tema suggerisco anche questo intervento di Silvia Vegetti Finzi, molto pacato ed equilibrato.

2 commenti:

Unknown ha detto...

condivido in pieno tutto ciò che hai scritto

ilmiosuperpapa ha detto...

Giustamente nel post si è ribaltato il problema non tanto sullapertinenza o meno dei compiti, ma su quello che i bambini hanno bisogno: concordo sui contenuti e le dinamiche descritte a mio avviso sono profondamente vere. Ma il tema in questione per certi versi ussa il tema dei bambini come pretesto: dire ad un insegnante che non deve dare i compiti ai bambini (al di là delle motivazioni più o meno discutibili) significa intromettersi in un campo che non ci appartiene. Non che come genitori non dobbiamo avere il dovere o il diritto di vigilare che la scuola faccia il proprio dovere, ma non ho il diritto di spiegare come lo deve fare. Il compito in sè appartiene ad un metodo di insegnamento che fino a prova contraria regge, dà i suoi frutti, ha la sua utilità in funzione dell'obiettivo finale: rendere dei bambini culturalmente preparati per affrontare percorsi più impegnativi. E' come se io che faccio l'impiegato comincio a dire al muratore che mi sta costruendo la casa che non deve più usare il cemento per costruirmi le pareti... ma chi sono? Il problema non è solo "il tener giù le mani del mio bambino", ma recuperare il buon senso, l'umiltà, la saggezza di mettere le mani solo dove è giusto che le metta, di permettere a chi da anni (magari con errori e contraddizioni) cerca di costruire un futuro scolarizzato per i nostri figli lo possa fare con l'appoggio e la fiducia che si merita. Oggi tanti genitori (li incontro nelle varie occasioni genrate all'asilo o a scuola) usano i bimbi come pretesto per celare la propria autoreferenzialità: non lo fanno neppure in maniera maliziosa, ma alla fine cercano di proteggere se stessi. Non mi stupirei che i più in ansia per i famosi compiti siano proprio i genitori e non i loro figli.
Comunque ogni tanto questi dibattiti riportano alla ribalta problematiche sulle quali è utile ritterci la testa.
un saluto